È passata più di una settimana dalla conclusione dell'ultima gara di stagione, ma non credo di aver ancora metabolizzato del tutto le emozioni dell'UltrApuane.
È stata una gara diversa dalle altre, più dura fisicamente e mentalmente, non solo per i 600km e gli 11000m di dislivello del percorso.
Le difficoltà sono iniziate tre settimane prima della gara: tra luglio e agosto mi sono allenato molto bene e ho alzato ancora un po' l'asticella, ma una ventina di giorni prima dello start un problema muscolare al polpaccio destro ha fatto scattare un campanello d'allarme. Per una ventina di giorni la mia tendenza innata all'ossessione e alla paranoia mi ha fatto stare parecchio in pensiero, ma per fortuna ho ritrovato la serenità a pochi minuti dallo start. Mentre assistevo alla partenza degli altri atleti, tra chiacchiere e interviste di rito, mi sono ritrovato calmo e concentrato, ma anche impaziente di iniziare a pedalare. Ho scritto tante volte di come portare te stesso al limite ti permetta di isolarti da tutto ciò che è superfluo, di evitare i pensieri inutili o dannosi. Piano piano ho imparato a entrare in questo stato mentale già prima della gara così, alle 8.56, sono partito con la mente libera e una gran voglia di spingere, nonostante le tante incognite muscolari.
Fin da subito ho tenuto un'andatura parecchio alta per i miei standard e sono riuscito a non pensare neanche per un attimo al polpaccio, che infatti non mi ha dato praticamente mai fastidio.
Dopo un'ora e mezza la pioggia ha lasciato spazio a una bella giornata di sole, così come pianura e falsopiani hanno ceduto il passo alle prime salite, che in questa gara sono state, per così dire, senza mezzi termini. Alcune erano lunghe e facili, di quelle che ti mettono a tuo agio: Cipollaio, Radici, Collina, Cento Croci e molte altre avevano pendenze dolci, quasi accoglienti. Altre salite, invece, si sono dimostrate davvero ostiche, con pendenze in doppia cifra per kilometri e lunghi tratti oltre il 15%: San Pellegrino in Alpe, la seconda parte del Passo Pradarena e i primi km del Passo del Vestito si sono fatti sentire, e tanto.
Nelle prime ore ho spinto molto, dicevo, con wattaggi per me inusuali. 225 W medi dopo 5 ore, 213 dopo 12: davvero non potevo fare di più, nelle prime fasi.
In un centinaio di km ho ripreso tutti gli atleti che erano partiti prima di me, mentre sulle rampe di San Pellegrino mi hanno superato quelli che già alla vigilia erano dati per favoriti: Daniele Rellini, da poche settimane Campione Italiano 24 Ore, Andrea Bartemucci, Campione Italiano Ultracycling nel 2018, e Tommaso Bovi, vincitore tra i self supported alla RUR e in testa all'Ultracycling Italia Cup.
Se Daniele è su un altro pianeta, prestazionalmente parlando (nel self supported su queste distanze è sicuramente tra i più forti al mondo), Tommaso e Andrea non andavano così tanto più forte di me, e questo mi rincuora: dei buoni progressi li ho fatti davvero.
Dopo 12 ore è iniziata, di fatto, un'altra gara: se da una parte il calo fisiologico del ritmo mi ha fatto rifiatare, dall'altro si prospettava una notte più difficile del previsto. Nella lunga discesa dopo Passo Collina, affrontata ben prima del tramonto, il freddo era già intenso, e sapevo che sarebbe solo peggiorato nelle ore successive. Sul Garmin ho iniziato a vedere temperature intorno ai 12 gradi, poi ai 10.
Verso le 2 del mattino, dopo poco più di 400km sono arrivato alla seconda Time Station, a Ligonchio, più o meno a 950 metri sul livello del mare. Temperatura di 8 gradi e le rampe del Passo Pradarena ad attendermi, con scollinamento a 1600 metri di altezza. Proprio alla TS2 ho incontrato Tommaso, sofferente a causa di un problema fisico, e ritirato dalla gara.
Quando condividi con un altro atleta le sensazioni estreme e i rischi di uno sport come questo, non c'è molto spazio per la rivalità. Ce n'è molto di più per il sostegno e il supporto reciproco: tante volte, in queste gare, ci si dà una mano allungandosi una borraccia, un gel o scambiando qualche battuta. Questa volta per la corsa di Tommaso non c'era nulla da fare, e mi dispiace sinceramente.
A Ligonchio mi sono concesso un microsonno di qualche minuto, anche se non ne sentivo il bisogno: Andrea era circa 5 km più avanti di me, mentre il terzetto di atleti alle mie spalle, che si giocavano il quarto posto, aveva accumulato quasi 30 km di ritardo nei miei confronti.
Si trattava solo di chiudere in scioltezza e portare a casa il podio. Solo 195km, mi sono detto risalendo in sella, solo 3100 metri di dislivello, dai, ormai è fatta, è praticamente finita! Smodato ottimismo, mancanza di lucidità o semplice follia? Lascio a voi decidere di cosa si trattasse, fatto sta che mi sembrava davvero una passeggiata, quell'ultimo tratto di corsa.
Invece è stata durissima: in cima al Pradarena c'erano 5 gradi, e in discesa era come avere degli spilli gelidi piantati in tutto il corpo. Poi è arrivato un tratto di mangia e bevi lunghissimo, interminabile: nella mia testa sono sembrati almeno 50 km, ma non ho il coraggio di verificarlo sulla traccia gps. Poi ancora discese freddissime e colline dove non riesci a scaldarti, con l'alba che, a fine agosto, sembra non arrivare mai.
Per chiudere in bellezza, prima del Passo del Vestito, rampe al 15% e, dopo l'ultima discesa, 45 km di pianura, infiniti anche quelli, con l'unica consolazione di vedere il vantaggio sul quarto in classifica ancora in crescita.
Nella mia testa sono durati di più quegli ultimi 195km in scioltezza dei 405 che li avevano preceduti e se ho continuato a spingere sui pedali è stato anche grazie al sostegno di chi mi ha seguito da casa: ogni tanto il telefono suonava e sapevo che si trattava di un messaggio su Instagram o Facebook. Alla fine ne ho ricevuti centinaia, e la carica che mi hanno dato è stata davvero fondamentale: mando un grande abbraccio virtuale a chi ha fatto il tifo per me!
All'arrivo ero davvero stravolto, molto più che in altre occasioni, ma anche felice come poche altre volte. Terzo overall, in 28h16m per chi ama i numeri, dietro a Daniele Rellini (25h31m) e Andrea Bartemucci (27h06m).
Ad aprile il mio obiettivo era di riuscire a concludere almeno una gara delle tre in programma per il 2021. Le ho concluse tutte, con due podi che non avrei mai pensato di poter raggiungere e il terzo posto finale nell'Ultracycling Italia Cup, vinta comunque da Tommaso Bovi, nonostante una gara in meno.
La felicità per il risultato e le sensazioni all'arrivo sono state così forti che, anche se la mia gara è finita poco dopo le 13, non ho dormito fino alle 11 di sera. L'ho pagata nei giorni successivi: fino a tre giorni fa mi sentivo uno zombie.
Cosiderazione psico-filosofica finale: non sono e non sarò mai uno di quelli che se la menano perché ottengono dei risultati e finiscono sui giornali. Non sono mai stato capace di guardare il mondo dall'alto in basso, anzi, ho sempre fatto il contrario, e mi va benissimo così: fin da quella prima Granfondo nel 2015, conclusa ultimo degli ultimi, ho considerato ogni risultato un regalo bellissimo della vita, una cosa preziosa da mettere nella cassaforte dei ricordi, da tirare fuori ogni tanto e da guardare sorridendo. Costruire una narrativa positiva della mia vita è molto più importante che poter dire Sono bravo, Ho vinto, Sono il migliore, e una narrativa positiva ha poco a che fare con i risultati e molto con l'approccio mentale. Ecco forse è questa l'unica cosa che mi riesce davvero bene: essere felice. E non la scambierei con nessuna vittoria.
PS: i numeri della gara li trovate tutti su
Strava e in
questo post: non li ripubblico qui perché sono già stato troppo prolisso.
Ringraziamenti/1: non ringrazierò mai abbastanza Silvia, che è stata al mio fianco anche nella trasferta lucchese. Dopo 28 ore in sella riabbracciare chi ami è qualcosa di meraviglioso.
Ringraziamenti/2: dietro queste 28 ore e passa di gara, dietro a questa stagione bella e tostissima ci sono anni di lavoro che non ho fatto da solo, ma insieme a tante persone. Ne cito qualcuna che per questo percorso è stata fondamentale:
- be.bike: Paolo è il meccanico che tutti vorrebbero.
- Total Sport Lab: Cesare è il mio biomeccanico e preparatore da anni. Non solo tabelle e misure, ma una lunga strada fatta insieme, watt dopo watt.
- Orbea: per aver pensato e prodotto una bici che mi fa sentire come un pesce nel mare. Il nome che ho dato alla mia Orca OMX non è casuale: l'ho chiamata Serenity.
- FTM: la mia squadra.
- Marcello Bergamo: i loro bibs sono gli unici che uso in gara.
- Garmin: è solo grazie al 530 se non mi sono preso quasi mai.