La mia lunga vacanza è quasi finita: da giovedì prossimo indosserò la divisa e comincerò col nuovo lavoro, dopo due mesi esatti di pausa. Mi serviva questo periodo, per riprendermi dagli ultimi anni (che sono stati assai pesanti) e per prepararmi a questa nuova avventura. Mi servivano anche ciclisticamente, perché anche la mia vita sportiva è arrivata a un bivio, in questo 2019.
Il triennio 2016-2018 l'ho dedicato al 100% alle Granfondo, ma siccome sono un tipo volubile è arrivato il momento di cambiare, e per parecchi motivi.
Primo: di GF ne ho fatte quasi 40, e quelle nella mia zona ormai le conosco a memoria.
Secondo: in gara ho visto troppi incidenti, e troppi incidenti brutti. Se da una parte una percentuale non trascurabile dei corridori si prende rischi assurdi per un duecentesimo posto, dall'altra spesso è l'organizzazione delle singole gare che lascia a desiderare. Partecipare a una GF medio-piccola è un terno al lotto: magari tutto gira per il verso giusto, magari trovi le macchine in contromano dopo 15 km.
Terzo: preparare seriamente una stagione di granfondo, anche se sei un brocco come me (miglior piazzamento, ricordiamolo, 72° assoluto, 6° M1...) è un impegno totalizzante: allenamenti mirati, carico, scarico, tapering, picchi di forma e via dicendo. Tutte cose che mi piacciono da morire, ok, ma che lasciano poco spazio a quel mix di agonismo e divertimento che puoi trovare in altre gare, come ad esempio quelle del GT Mediofondo.
Quarto: le granfondo, parliamoci chiaro, sono una sfida col coltello tra i denti, non importa se arrivi primo o trecentesimo. A me piace da matti mettermi in gioco, anche se le prendo sempre: mi piace arrivare a venti minuti dal primo e stringergli la mano, mi piace fare la volata per il novantesimo posto, mi piace vivermi tutto un campionato cercando di essere regolare, e magari anche portare a casa qualche risultatuccio, come il podio di categoria dell'anno scorso in Coppa Piemonte (per la cronaca, di gran lunga il circuito granfondistico con la miglior organizzazione tra quelli a cui ho preso parte). Però la sfida contro gli altri non è tutto: ho voglia di sfidare anche me stesso.
Quinto: la cosa che mi è mancata di più, in questi anni, sono stati i kilometri. Le GF sono lunghe, ok, ma per me le sensazioni più belle, in bici, sono quelle che trovo dopo 5, 6 ore in sella, e a quel punto il 90% delle gare è già finito. L'anno scorso non ho fatto nemmeno un giro oltre le 8 ore: La Fausto Coppi, chiusa in 7 ore e 10, è stato il giro più lungo, e anche in assoluto il più bello dell'anno. Sono arrivato a sentire il bisogno di tornare alle lunghe sgroppate che facevo qualche anno fa, me lo diceva l'istinto che le lunghe distanze erano quello che mi serviva. Ho sfruttato questi mesi di pausa anche per questo.
Non sono mai stato una persona avventata e non lo sarò mai: non ho deciso di punto in bianco di mettermi a pedalare su lunghe distanze, ho semplicemente aperto la mia mente a questa possibilità. Provo ad avvicinarmi a questo tipo di ciclismo, mi sono detto, vedo com'è, vedo se mi piace, capisco se fa per me.
Il primo passo è stato un giro da 8 ore e 208 km, collinare, con Silvia. Tutto ok.
Poi sono partito per il Monferrato, chiedendomi: mi piacerà passare 4 giorni in bici? La risposta è stata sì, e di bestia.
Ma il giorno più bello del mio weekend lungo è stato quello della Monsterrato, con quasi 10 ore in bici, e allora mi sono chiesto se non fosse il caso di provare qualcosa di più impegnativo. La risposta me l'ha fornita Instagram, dove ho trovato quei fulminati di Assault To Freedom, che propongono sfide a metà tra il ciclismo e l'ultracycling, toste e divertenti: una scusa per spingersi oltre i propri limiti, per vedere posti nuovi, per fare i pirla nelle Stories.
Il primo Assault che ho affrontato è stato Meters Matter, nella versione "semplice": 300 km, in un unico giro, con minimo il 70% del tempo totale in sella. Una bella scusa per costeggiare il Lago di Como, esplorare le colline tra Brianza e Varesotto e addentrarmi nella bassa Vercellese, abbondando anche, e parecchio, col kilometraggio: 350 km in 16 ore totali. Bello, bellissimo, 'na figata, ne voglio ancora.
L'Assault numero due è stato più duro, e mi sono anche complicato la vita: i 5000 metri di dislivello di Altitude Attitude li ho fatti tutti sulla stessa salita, Calogna, in un mini-circuito da 7,1 km e più o meno 220 m di dislivello. 23 giri, 211 km, 13 ore abbondanti con solo il 12% del tempo giù dalla bici. Il caldo è stato terribile, ma sono comunque sopravvissuto abbastanza bene da voler tentare un'altra impresa.
Ma quale? La risposta più ovvia sarebbe The Real Assault: 24 ore in sella su un massimo di 36, giusto per completare le tre sfide proposte da Stefano and friends nella "versione base". Ma settimana prossima non ho tempo e sinceramente ho bisogno di un po' di scarico: rimanderò, mi sa. Tanto non mi corre dietro nessuno!