sabato 26 dicembre 2020

La stagione che verrà

Il solito bilancio di fine anno lo lascio a un altro post. Qui vi racconto quali saranno le mie sfide per il 2021, o meglio le sfide che ho pianificato, dato che, per ovvi motivi, anche nel 2021 le incertezze non mancheranno.
Si parte col botto: il 30 aprile sarò al via della Race Across Italy, e non sto a ripetere perché questa gara è così importante per me. Come tutti gli altri appuntamenti ultra del prossimo anno correrò nella categoria Solo Self Supported, quindi senza auto al seguito e in totale solitudine. Saranno 775km di avventura, e già non sto nella pelle.
A inizio giugno si va a Forlì per la Romagna Ultra Race, che quest'anno assegna il titolo di Campione Italiano Ultracycling. Ho un conto in sospeso con questa gara: avrei dovuto esordire proprio alla RUR310 di quest'anno, poi cancellata dal Covid. Nel 2021 raddoppio, e sarò al via della prova regina, la RUR600: 600km e 12000m di dislivello.
Sulla terza gara di stagione ho ancora qualche dubbio, ma quasi sicuramente si tratterà dell'UltrApuane: dopo il secondo posto sul percorso Experience da 350km del 2020 sceglierò il più impegnativo Challenge, con 600km e 11000 metri di dislivello. 
Se le cose vanno come spero queste tre gare mi permetteranno di racimolare un po' di punti per la Ultracycling Italia Cup, mentre non credo che parteciperò all'Italian Time Trial Cup, dopo il podio dello scorso anno. Mettere troppa carne al fuoco potrebbe essere un rischio, anche se mi dispiace parecchio rinunciare alla 24h del Montello e al Time Trial di Bagnolo: ma ci sarà tempo nei prossimi anni per tornare a queste competizioni, magari facendo un pensierino alla qualificazione Race Across America.

Fin qui l'Ultracycling, ma c'è anche il ciclismo normale. Ecco, qui le cose si fanno più complesse, perché la pandemia renderà la vita piuttosto difficile agli eventi che prevedono assembramenti. Eppure non vorrei perdermi qualche appuntamento con il Gran Trofeo Mediofondo, se non altro per variare un po'. 
Non mentirò: tempo per gite e scampagnate non ce ne sarà, le mie energie saranno tutte dedicate all'ultraendurance, e non vedo l'ora di essere ai nastri di partenza in quel di Silvi.
Nel frattempo buone feste a tutti. Evito le solite parole trite e ritrite su questo triste e strano Natale: parlare non serve a molto, preferisco pedalare, e consolarmi con la solita, immancabile, #Festive500.

domenica 6 dicembre 2020

Il mio pensiero fisso

Eccoci qui, alle soglie delle vacanze natalizie, divisi tra zone gialle, rosse e arancioni, con tante incertezze e ben pochi punti fermi per la stagione che verrà. I veri problemi in questo momento sono altri e non mi stancherò mai di dirlo, ma dato che non sono un medico, un virologo o un politico non credo di essere la persona giusta per parlare di virus e pandemia. Lo fanno già in tanti, sui social e per strada, lo fanno già in troppi. Quello che posso fare io, al massimo, è raccontarvi come mi alleno, e con che spirito sto affrontando tutto questo.

Vivendo in Lombardia mi sono trovato di fatto a non potermi allenare outdoor, nonostante la fine di novembre ci abbia regalato giornate di sole e caldo. La risposta più ovvia, come era già accaduto a marzo, sono stati i rulli. Sono tornato a Watopia e buona parte delle ore di bici previste le ho passate così. Non tutte però: ho dato (finalmente...) una bella pulita alla bici da gravel e ho cercato di usarla un paio di volte la settimana per andare al lavoro. Nel mio caso significa fare 25 km all'andata e altrettanti al ritorno, non proprio pochissimi, e sicuramente abbastanza per rompere la monotonia del training indoor. 

L'altro grande focus, come sempre d'inverno, è la palestra. Ecco, con la palestra è tutto un po' più difficile... Teoricamente, siccome sono un "atleta tesserato iscritto a gare di rilevanza nazionale eccetera eccetera"  potrei accedere alle strutture ed allenarmi; di fatto nessuna palestra della mia zona apre solo per noi tesserati, e non gliene posso certo fare una colpa: il gioco non varrebbe la candela... Poco male, comunque: allenare la forza massima senza avere a disposizione neanche un bilanciere ha decisamente stimolato la mia creatività e quella di Cesare che come sempre, da esperto del settore con Total Sport Lab, mi dà ottimi consigli in questo senso. Per il primo periodo (quello diciamo di preparazione) mi sono organizzato con un mix di casse d'acqua, manubri e kettlebell, mentre nelle ultime due settimane mi sono reso conto di quanto sia utile avere una compagna con il fisico da passista. Ho usato direttamente Silvia al posto del bilanciere e, sempre con l'aggiunta di qualche pesetto, sono arrivato al carico che mi serviva.

Ma perché fare tutto questo, perché non starsene tranquilli sul divano, perché non lasciare che sconforto e depressione prendano il sopravvento, perché non godersi il caldo abbraccio della pigrizia? Ecco, io la tentazione di lasciarmi andare non ce l'ho mai avuta, un po' perché sono un tipo di quelli che non riescono mai a stare fermi, un po' perché, ormai lo sapete, ho un vero e proprio pensiero fisso. Tra pochi mesi, infatti, arriverà il momento della gara che aspetto da quando ho scoperto il mondo dell'Ultraendurance: la Race Across Italy, con i suoi 775km. Era il 2015, avevo appena ripreso con la bici e avevo portato a termine solo 3 giri oltre i 100 km; eppure, in un istante, è scattata la scintilla. Ho capito che quella era la mia strada e in un attimo la RAI è diventato il mio obiettivo più grande. Amore a prima vista, viene da dire: adesso che ci siamo quasi allenarmi è proprio la cosa che mi pesa di meno.

Ma non c'è solo la Race Across Italy, a farmi venire voglia di pedalare: perché il tragitto casa-lavoro, che può sembrare sempre uguale, ogni volta regala piccole emozioni tutt'altro che scontate: l'alba infuocata, le ultime stelle della notte, il freddo secco e piacevole di certe giornate, il tepore del sole pomeridiano. È una di quelle cose, il commuting, che in Italia fatica a prendere piede, e non si capisce perché: la giornata inizia così bene, con una bella pedalata... 
Quest'anno, finora, ho percorso 1245km in modalità commuting, tra lavoro, spesa e commissioni varie. Per il 2021 si può fare di meglio: 1500? 1750? 2000 km? Ci devo ancora pensare, ma alla fine ci vuole poco, a trovare nuovi obiettivi... 


sabato 31 ottobre 2020

Aspettando il lockdown

Un pensiero triste, mentre pedalo tra i mille colori del bosco: potrebbe essere l'ultima uscita gravel prima di un nuovo lockdown, potrebbe essere l'ultima volta che mi fermo a fare una foto al tramonto, che posso perdere tempo ad ammirare i giochi delle foglie rosse e gialle che si posano piano a terra. Potrebbe arrivare un nuovo blocco totale, potremmo perderci la meraviglia di un autunno che, almeno qui dalle mie parti, sta dando il meglio di sé.
È stato un pensiero triste, ma non inaspettato. È quasi un anno che sentiamo parlare di COVID, il primo lockdown è iniziato 8 mesi fa: piano piano ci siamo abituati all'incertezza, e dopo il fuoco di paglia di un'estate quasi normale ce la aspettavamo tutti, questa seconda ondata.
Rassegnazione. È questo il sentimento prevalente, adesso, e a pensarci bene è giusto così. Abbiamo più o meno tutti raccattato dei rulli, abbiamo imparato ad usare le app dedicate e in tanti siamo stati così pervidenti da procurarci un minimo di attrezzatura da palestra. Con un po' di inventiva ce la caveremo, e non poter fare sport sarà l'ultimo dei problemi, vista la situazione.
Ho continuato il mio giro, dopo quel momento di sconforto, ho fatto qualche foto e percorso qualche km con un amico. Poi, mentre tornavo a casa, mi sono trovato a pensare a Zwift, a quali percorsi mi mancano, a quali trofei sbloccare. Se ci richiudono in casa mi sa che saranno quelli, i miei obiettivi, su questo non ci piove: perché mi servono, dei piccoli target da raggiungere, servono a non farci impigrire, a ritrovare un po' di positività, a strapparci un sorriso ogni tanto. E a non farci dimenticare che cosa sia la normalità.

giovedì 8 ottobre 2020

Time Trial: fuori forma in collina

 


Ultima gara di una stagione che non doveva nemmeno partire e che invece è stata, per me, la più emozionante di sempre.
Una stagione cortissima, iniziata a luglio con l'Ultracycling Dolomitica, e terminata settimana scorsa col Time Trial di S. Pietro di Feletto. 12 settimane in cui ho azzardato 4 quattro gare di ultracycling: una follia, da un certo punto di vista, perché i margini per mantenere una buona forma senza rischiare l'overtraining erano davvero stretti. Ma la fame di gare era troppa: una fame che dura dal 2015, perché le granfondo non hanno mai placato il mio bisogno di ultracycling.
Così ho tentato l'azzardo: presentarmi in forma alla Dolomitica, salire un po' di condizione in vista dei Campionati Europei, tenere fino all'UltrApuane e chiudere in calando al Time Trial. Mi sono focalizzato molto sul recupero (anche più che sull'allenamento), le cose sono andate bene, e sono arrivati due podi inaspettati: ogni volta che guardo i trofei conquistati mi viene la pelle d'oca. Ma veniamo al Time Trial, che assegna il titolo di Campione Italiano Ultracycling: la gara jolly, affrontata senza pretese e senza grandi possibilità di fare bene.

Arrivo a Bagnolo stanco e un po' stressato, finalmente in ferie dopo un anno lavorativo a dir poco intenso. Il picco di forma è ormai un lontano ricordo: me ne sono accorto nelle ultime settimane di allenamento, non posso inventarmi nulla per rimediare e, di conseguenza, ho già la testa al 2021.
Il format è quello tipico delle gare timed: 6, 12 o 24 ore e un circuito da ripetere più volte possibile. Al via ci sono dei mostri sacri dell'ultracycling, soprattutto sulla 24 ore, con circa metà dei partecipanti che arrivano dall'estero. Io corro ancora una volta sulla 12 ore, e anche qui non si scherza: c'è Fabio Ciot, che mi ha battuto agli Europei, c'è Alessio Magarotto, che al Montello è arrivato dietro di me, ma davvero di poco. C'è Cesare Pesciaroli, che ha vinto l'UltrApuane Experience dandomi mezz'ora abbondante, c'è il Finlandese Olli Korhonen, out-sider dai numeri impressionanti, e c'è anche Paolo Braico, finisher alla Race Across Italy. Ah, dimenticavo... c'è Omar Di Felice, che non ha bisogno di presentazioni.
Il percorso è bello e cattivo, con 24 km  e 400 metri di dislivello: non c'è un metro di pianura, non c'è un passaggio che non sia splendido. Fa freddo, e al via tremo come una foglia: mi consolo pensando che correremo di giorno e non di notte, quasi una novità dopo tre gare corse prevalentemente al buio.
Altra novità, sono davvero mal organizzato. Ho dimenticato a casa il borsello con il kit di riparazione e anche il giubbino catarifrangente. Non è da me, elemosino quel che mi serve dagli altri concorrenti e mi preparo per partire.


Pronti via e... niente, il misuratore di potenza non si accende nemmeno. L'ho caricato, ma probabilmente  qualcosa è andato storto. Mi rassegno: correrò solo col cardio, cosa che, su 12 ore di gara, equivale a correre a sensazione.
Come se non bastasse mi accorgo subito di non avere le gambe: proprio non ce n'è, e in più i primi 5 tengono un ritmo esagerato. Sulla mia gara, di conseguenza, c'è molto poco da dire: sesto dall'inizio alla fine, resto su tempi mediocri per i primi 8 giri, poi calo un po': il quinto è lontanissimo, il settimo è parecchio staccato. Dopo 12 giri e 10 ore abbondanti di gara sono a un bivio: posso fare un altro giro o fermarmi, comunque sicuro della mia posizione. Fa un freddo cane, e mi fermo. All'arrivo c'è Silvia, che mi ha assistito per tutta la gara passandomi borracce, gel e barrette, e ho solo voglia di un abbraccio caldo.
Per la cronaca vince Fabio Ciot con 15 giri, su Omar, Alessio, Olli e Cesare, tutti a 14 giri. Mentre andiamo verso il ristorante insieme ad Alessio ed Elisa la 24 ore sta continuando, e non li invidio affatto. La lotta è serratissima, e la mattina dopo sono davvero felice di scoprire che a spuntarla è stato Daniele Rellini, su Edward Fuchs e Dejan Jug.

Deluso? No. Stanco? Sì, parecchio. Però non me la sentivo di mancare a quest'ultimo appuntamento, di perdermi l'ultima occasione per vivere l'atmosfera unica di questi eventi. E poi, con questo sesto posto, riesco a difendere il podio nell'ITTC: terzo, dopo il secondo posto nell'Ultrafondo Cup. Finita la gara è iniziato quel momento bellissimo di tranquillità e relax, prima di iniziare la preparazione per l'anno prossimo. Il momento giusto per godersi la bici senza stress, magari in compagnia.


A cena, la sera della gara, abbiamo incontrato Olli Korhonen, e scoperto che è sposato con una ragazza di Legnano, quindi spesso è dalle nostre parti. In tempo zero organizziamo un giro tra le vigne e le colline piemontesi, a ritmo turistico, senza fretta e con tante chiacchiere. Bella giornata, alla scoperta degli angoli meno noti delle province di Novara, Biella e Vercelli.

Altri impegni di questo periodo di transizione? Con Silvia ho accompagnato mio fratello Sergio nel suo primo giro oltre i 100km, e negli ultimi giorni ci siamo concessi una gitarella in Emilia, con poca bici e tante città visitate.
Da settimana prossima tornerò ad allenarmi, almeno un minimo: focus sulla palestra, per ora senza grandi carichi. Ma sarà l'inizio della nuova stagione, l'inizio del lungo percorso che mi porterà al grande evento del 2021, alla gara che sogno: la Race Across Italy.

Per gli amanti delle statistiche ecco i numeri del mio Time Trial - 12 ore, che come sempre trovate anche su Strava. Purtroppo manca la potenza...

- Distanza: 289,2 km
- Dislivello: 4960 m
- Tempo in movimento:10h44m52s
- Tempo totale: 10h49m04s
- Velocità media: 26,9 km/h
- Frequenza cardiaca media: 141 bpm
- Frequenza cardiaca massima: 179 bpm

sabato 5 settembre 2020

UltrApuane: le conferme che cercavo

Ed eccomi qui, a nemmeno due mesi dall'esordio nel mondo dell'Ultracycling, a raccontare com'è andata la mia terza gara. Se la Dolomitica 380 è stato il grande rito di passaggio e la 24 Ore del Montello mi ha fatto scoprire la gioia del podio, l'UltrApuane mi ha dato le conferme che cercavo.

Al via non ero così sicuro di poter fare bene: da una parte tre gare così impegnative in poco tempo non sono facili da preparare, dall'altra la concorrenza era spietata. Invece la gara è andata via liscia come l'olio, e questa è la prima certezza che mi porto a casa: ho imparato abbastanza bene a gestire queste distanze. Niente crisi, niente alti e bassi, tutto sotto controllo. Ma vi racconto com'è andata...

Si parte da Lucca, città che amo in una regione che adoro: gareggio sul percorso Experience, che prevede 350km e 7000m di dislivello, su e giù tra le colline tra Emilia e Toscana. Il tracciato è molto diverso da quelli che ho affrontato finora, estremamente vario e molto divertente: lunghi tratti pianeggianti, salite aspre e cattive, altre salite costanti e pedalabili, falsopiani di ogni tipo. Bello bello, insomma, ma non c'è da dimenticare che per i veri ultracycler c'era anche il percorso Challenge, da ben 750km e 17000m di dislivello. Duro, anzi durissimo.

Partenza alle 14:18 (scaglionati come sempre in queste competizioni): imposto il cruise control e nella prima ora recupero un paio di concorrenti. Strano, di solito le prime ore non sono il mio forte. Le quattro ore successive sono le più rognose: fa caldo, fa caldissimo, ma mi impegno a pensare che passerà e a trovare le fontanelle sul percorso. Mi superano Michele Verdoja e Giovanni Rossi, ma resto fedele al mio ritmo costante. Al km 153 c'è l'unica Time Station prevista, dove trovo Verdoja, Cirillo e una mia vecchia conoscenza dei tempi delle Granfondo: Walter Tortoroglio, partito 8 minuti prima di me.

Riparto dopo una sosta brevissima e mi ritrovo terzo, alle spalle di Pesciaroli, che tiene un ritmo pazzesco, e Rossi, che non scherza nemmeno lui. Sulla prima salita dopo la TS Walter mi riprende e da lì in poi continuiamo praticamente sullo stesso ritmo, pur mantenendo la distanza imposta dal regolamento per evitare il vantaggio della scia. E niente, i 190 km successivi, pur essendo i più duri, passano via veloci e senza grandi drammi: piove, smette di piovere, si sale, si scende e le ultime 9 ore di gara mi sembrano un attimo. Intorno al 175° km Rossi si ritira, mi ritrovo secondo e vedo il margine su Verdoja e Cirillo che si allarga sempre più, mentre mi avvicino, anche se ormai senza più speranze, a Pesciaroli.

Arrivo a Lucca con un gran sorriso stampato in faccia: a mezz'ora da Pesciaroli, pochi secondi prima di Walter e con più di un'ora di vantaggio su Verdoja e Cirillo. Insomma, meglio di così non poteva andare: due podi in tre gare non me li aspettavo proprio...

Seconda conferma: il clima di queste competizioni è qualcosa di magico. Il calore e l'impegno degli organizzatori (Paolo, Ivano e Roberto, ma anche tutti i volontari), l'atmosfera di grande rispetto e amicizia tra noi partecipanti sono qualcosa che ti fa sentire davvero dentro a una grande famiglia. Il fatto di aver condiviso con Walter la lunga notte che ci ha portati sul podio, poi, ha reso ancora più speciale il tutto: uno come lui se lo meritava proprio, un risultato così, ancora più incredibile considerando che l'UltrApuane era la sua gara d'esordio. La mentalità vincente è sempre la stessa, in qualsiasi sport: Tortorix, da ex motociclista due volte vicecampione mondiale Superstock, è stato bravissimo a trasportarla sulle due ruote a pedali.

Ma veniamo alla terza e ultima conferma: appena sceso dalla bici, all'arrivo, ancora prima di ricevere il trofeo, mi sono chiesto: "Cosa ne dici di rifarla tutta da capo?" Sì perché l'anno prossimo non si scherza: ci sarà la Race Across Italy, con 775km e 11000m di dislivello, poco più del doppio di questa sgambata. "Ok, si può fare" mi sono risposto "Se mi fermo mezz'ora e mangio un pollo allo spiedo posso ripartire  quasi tranquillamente." Insomma, se fino a qualche giorno fa avevo delle buone sensazioni in questo senso, adesso sono sicuro di poter portare a termine la gara che sogno da anni.

Intanto, tra tre settimane c'è il Time Trial di San Pietro del Felletto: ultima gara italiana di Coppa del Mondo e seconda prova dell'Italian Time Trial Cup. Come al Montello correrò sulle 12 ore. Obiettivo: difendere il podio nell'ITTC!

Chiudo con i numeri della mia gara, perché un po' di statistiche non fanno mai male:

- 357,87 km
- 6037m di dislivello (un po' sottostimati dal Garmin negli ultimi km, come capita spesso in caso di pioggia)
- 15 ore e 14 minuti totali
- 14 ore e 47 minuti in movimento
- 24,2 km/h di media in movimento
- 79 rpm medie
- 145 bpm medi
- 190 W di potenza media normalizzata
- Bilanciamento: 50,3% sx - 49,7% dx
- 8451 KCal consumate

venerdì 7 agosto 2020

Come un pesce nell'acquario - 12h del Montello


La 12h del Montello, disponibile per i più coraggiosi anche in versione 24h, è stata una roba davvero estrema. La gara scelta dalla World Ultra-Cycling Association per assegnare i titoli di Campione Europeo Ultracycling sulle 12 e 24 ore ha davvero messo alla prova mente e corpo di chi si è schierato al via.
Per farla breve basta dire che, sulle 12 ore della prova "easy", 8 ore le abbiamo passate sotto l'acqua. Di queste almeno due in balia di un temporale con vento e tempesta di fulmini, così tanti da rendere inutili, in molti momenti, le luci che avevo montato su bici e casco. Già perché, dimenticavo, noi della 12 ore siamo partiti alle 8 di sera.
Agli atleti della 24 ore, comunque, è andata molto peggio, perché prima della tempesta si sono fatti 12 ore sotto a un sole cocente, con temperature prossime ai 36°, ma molto più alte a livello dell'asfalto.
Non è solo l'acqua, però, a motivare il titolo del mio post. Questa è stata la mia seconda gara di ultracycling e tutte le sensazioni del weekend non hanno fatto altro che confermare ciò che avevo già intuito alla Dolomitica 380: che in questo mondo mi ci trovo proprio bene. Il tipo di prestazione richiesto, l'allenamento necessario, l'atmosfera delle gare e l'approccio della stragrande maggioranza dei partecipanti e degli organizzatori non fanno altro che mettermi a mio agio. Alla partenza ero rilassato, durante la corsa concentrato, all'arrivo felicissimo; in ogni momento, anche under the storm, sentivo di essere esattamente al mio posto.
Ma bando alle ciance, ecco com'è andata... 
Siamo in una quindicina ad essere iscritti alla 12 ore, e parto per terzo, dietro al favorito Fabio Ciot e al vincitore dello scorso anno, Alessio Magarotto. Da subito o quasi imposto un ritmo regolare, che so di poter mantenere per tutta la prova. Dopo una decina di km mi supera Alessio Trabuio, partito un minuto dopo di me, ma non faccio neanche finta di reagire. Non guardo gli altri, io. Guardo solo il Garmin, e nemmeno tutto lo schermo, solo la potenza a 3 secondi e la potenza normalizzata media. Alla fine del primo giro supero Federico Caretta, che è in testa alla 24 ore. Scambiamo due parole (è un atleta che seguo e ammiro da tempo), poi formiamo una specie di coppia a distanza (nell'ultracycling il distanziamento era già d'obbligo prima del COVID, dato che c'è il divieto di scia) per tre o quattro giri. Sono i momenti più difficili, climaticamente parlando, le ore in cui si scatena la furia degli elementi. Menomale che ai box c'è mio fratello Sergio, che si rivela un assistente preziosissimo: segue alla perfezione quanto pianificato in merito ad alimentazione e idratazione, improvvisa alla grande quando si tratta di mantelline, antivento e batterie per le luci; soprattutto non manca mai di incitarmi e farmi sentire il suo supporto.
Proprio ai box recupero Trabuio, mentre verso metà gara (la concezione del tempo, quando fai certe cose, va un po' a quel paese...) supero anche Magarotto, fermo a causa di una foratura. Ma Alessio è uno che non si dà per vinto, mi riacchiappa subito e mi stacca. Sono comunque sul podio virtuale, e proseguo al mio ritmo. Tra un gel e una barretta mancano solo tre ore, sta albeggiando e come sempre i cicli circadiani mi danno una mano: sto molto bene e torno di nuovo vicino al mio diretto "rivale", se così si può dire. Infatti la cosa bella di questa disciplina, come ho già scritto più volte, è che dovendo affrontare prove così dure raramente il termine rivale assume il significato che ha negli altri sport: ogni potenziale avversario, di fronte a tutte quelle ore e quei km, si trasforma in un compagno di viaggio. Così, durante i pochi momenti durante i quali il regolamento ci concede di marciare affiancati, scambiamo qualche battuta, e poco importa che molte di queste riguardino l'incredibile ritmo di Fabio Ciot, che che ci doppia a velocità supersonica. Dal punto di vista tattico, nella lotta per il secondo posto, sono in vantaggio, essendo partito due minuti dopo Alessio: potrei rilassarmi e mantenermi a un centinaio di metri da lui, ma non ho riferimenti su Trabuio e gli altri concorrenti, che potrebbero rifarsi vivi. A due ore dal termine, quindi, decido di aumentare il ritmo, e da lì in poi non smetto di spingere. Gli ultimi km sono meravigliosi, perché ho tutto il tempo di realizzare che sto portando a casa un gran risultato, sicuramente il più importante che ho mai raggiunto. Taglio il traguardo felice come una Pasqua, e l'abbraccio col mio fratellino è un momento da incorniciare.



Dati, statistiche e numeri vari... La mia gara è durata 11 ore, 52 minuti e 45 secondi, di cui 11 ore, 44 minuti e 59 secondi in sella. 335,71 km coperti, con un dislivello un po' difficile da calcolare visto che, con la pioggia, l'altimetro barometrico del mio Garmin è andato a quel paese: in ogni caso, tra i 4 e i 4600 metri. 28,6 km/h di velocità media e 202 W di potenza media ponderata a una frequenza cardiaca media 143 bpm medi. Potenza massima espressa 913 W, bilanciamento della pedalata 50,6% destra, 49,4% sinistra, con cadenza media 79 pedalate. Come sempre c'è tutto su Strava.
E questo, in sostanza, è tutto. Adesso, dopo questo podio meraviglioso, mi godo qualche giorno di tranquillità, prima di iniziare a pensare alla prossima avventura... L'UltrApuane: 350 km e 7000 m di dislivello con partenza dalla splendida città di Lucca.


domenica 12 luglio 2020

Finalmente ultra - La Dolomitica 380


Le cose che si fanno attendere per tanto tempo hanno un sapore speciale, quando riesci a raggiungerle. Nel 2015, quando avevo appena ripreso ad andare in bici e non avevo ancora partecipato nemmeno a una cicloturistica, avevo scoperto che esistevano gare lunghe, lunghissime, in cui la testa conta forse più delle gambe. Gare che diventano viaggi spirituali, che ti fanno superare i tuoi limiti. Parole usate ed abusate, queste, ma le sensazioni che mi evocava la Race Across Italy di quell'anno, mentre la seguivo in diretta sul PC, giorno e notte, per me erano qualcosa di nuovo, di elettrizzante. Istintivamente sapevo che quella era la mia strada. Non era l'epicità dell'impresa ad attirarmi, non era l'idea di fare qualcosa di speciale: era un bisogno fisico, primordiale e del tutto irrazionale che, ancora oggi, non sono in grado di descrivere. 
Il lavoro era tanto, in quegli anni, il tempo libero poco, così ho pensato di ripiegare sulle granfondo, per qualche tempo, e di farmi un po' le gambe con le classiche gare amatoriali. Poi è arrivato l'anno scorso, io e Silvia abbiamo cambiato vita, e mi sono messo immediatamente all'opera non per realizzare un sogno, perché non sono un sognatore, ma per soddisfare quello che, per me, era un bisogno primario. 
Lo scorso week-end è arrivato il grande giorno: alla partenza della Dolomitica 380 ero emozionato, certo, ma non teso, perché mi sentivo al mio posto, mi sentivo me stesso come non mai. Sapevo che ritmo mantenere, avevo pianificato le pause, l'alimentazione, l'abbigliamento, le luci da usare in salita e in discesa, così gli 11 passi dolomitici si sono succeduti uno dopo l'altro, i km si sono accumulati fino a quota 395, fino all'arrivo.
Non avevo pianificato tutto, però: l'alba sul Fedaia, l'azzurro abbagliante del Lago di Barcis, l'atmosfera bellissima tra noi partecipanti, con i team degli atleti supported che ti offrono una Coca-Cola e tutti che ti chiedono come va, se hai bisogno qualcosa. Non avevo previsto di partire per ultimo e di recuperare posizioni su posizioni, fino al quinto posto assoluto. Non avevo previsto di sfiorare il podio tra i self-supported, e di chiudere la gara in 20 ore e 25 minuti.
Non è stata solo una gara, questa: per me è stato un rito di passaggio. Non sono più quello di prima, dopo aver scalato quelle montagne, perché esperienze come questa ti cambiano: tirano fuori dei lati nascosti della tua mente, scavano in profondità nel tuo subconscio. Riportano a galla istinti sopiti e ancestrali, sensazioni dimenticate: tutte cose di cui, non so voi, ma io ho un bisogno assoluto. Tutte cose di cui non posso più fare a meno. 

lunedì 15 giugno 2020

Ricominciare

Questo post avrei voluto scriverlo un mesetto fa, alla fine del lockdown. Avrei voluto raccontarvi quanto è stato bello tornare a pedalare col vento in faccia dopo 55 giorni coi rulli al posto dell'asfalto e il ventilatore al posto della brezza primaverile, ma sinceramente non ce l'ho fatta. Se da una parte gioire in un momento così tragico mi sembrava fuori luogo, dall'altra ho preferito godermi il lento ritorno alla normalità senza perdere tempo. E non parlo solo di bici, dato che per  oltre tre mesi non ho potuto vedere i miei genitori, i miei fratelli e molti amici, tutti residenti al di là del confine regionale.

Poi finalmente le cose sono migliorate, i confini sono stati riaperti e ho ricominciato a pedalare: non solo per il piacere di sentirmi libero, per riscoprire i luoghi che amo e per andare a caccia di nuovi panorami ma anche, forse soprattutto, per continuare sulla strada intrapresa, e arrivare pronto alle gare che mi aspettano. Sul fronte agonistico, infatti, sono arrivate buone notizie: se il ciclismo "classico" non riprenderà fino al primo agosto, l'ultracycling non ha bisogno di aspettare, visto che le lunghe cronometro individuali, con tanto di divieto di scia, sembrano fatte apposta per soddisfare le nuove regole sul distanziamento sociale. La Dolomitica 380 è stata confermata per il primo weekend di luglio, e di conseguenza ogni mio sforzo è andato in quella direzione. Anche perché non si tratta esattamente di una passeggiata: tra le gare che avevo in programma è di gran lunga la più dura, con un Everest abbondante da scalare e  parecchie ore di buio da affrontare.

Dal punto di vista dell'allenamento, a poco più di due settimane dal via, devo dire che non avrei potuto fare di più, e che sono davvero felice dei passi avanti di quest'anno. Al di là dei numeri, che comunque sono i migliori di sempre per me, sono le sensazioni ad essere ottime. Mi sono testato su alcuni lunghi con parecchio dislivello e meglio non potrebbe andare: trovarsi gasato, fresco e con tanta voglia di continuare ad allenarsi dopo 15 ore in sella è qualcosa di difficile da spiegare, ma bellissimo da vivere. Certo, rispetto a tanti ultracycler che seguo sono indietro anni luce, ma il segreto per vivere bene lo sport è darsi degli obiettivi raggiungibili: mi accontenterei di tagliare il traguardo di Sarmede, non importa a quante ore dal primo classificato.
Dopo il timore della notte, questo weekend ho superato anche lo scoglio della privazione del sonno: venerdì sera sono uscito in bici alle dieci di sera e sono rientrato alle 4 del pomeriggio. 15 ore di allenamento (pause escluse) e 30 ore senza dormire: anche in questo caso sensazioni bellissime e difficili da spiegare.

Non ho nient'altro da raccontare. Non ho frasi ad effetto come altre volte, non ho riflessioni profonde da condividere. Ho solo voglia di scoprire dove mi porterà le bici. 

domenica 26 aprile 2020

Tipi da Zwift

Eccomi qui, dopo quasi 6 settimane di pedalate sui rulli, a scrivere di gare virtuali. Avrei dovuto essere nel pieno del GT Mediofondo e a un mese dal debutto ultraciclistico della Romagna Ultra Race. Invece ho approfittato della settimana "di scarico" del mio programma di allenamento stravolto per fare delle gare su Zwift... 
Ora, per chi non lo sapesse, il mondo di Zwift è composto, più o meno, da cinque categorie di ciclisti:
  1. Gli Zwifters duri e puri: hanno rulli che costano più delle loro biciclette, un sistema di ventilatori ottimizzato, connessioni internet paragonabili a quelle del Pentagono e una collezione di chiavette Ant+. Usano Zwift da quando in tutta Watopia c'erano 9,8km di strade percorribili e guardano con malcelato disprezzo gli appartenenti alle altre 4 categorie.
  2. Quelli che non mollano: prima della quarantena per loro i rulli erano creature mitologiche provenienti da dimensioni  parallele, o al massimo strumenti demoniaci che corrompevano Il Vero Ciclismo. Ai tempi del Covid sono venuti a patti con la coscienza, si sono accaparrati dei trainer smart a prezzi stratosferici e adesso zwiftano tutti i giorni, più volte al giorno, perché NON POSSONO MOLLARE, loro. Fanno almeno 5 gare a settimana, iscrivendosi casualmente alle categorie, dato che gli unici Watt di cui hanno sentito parlare sono quelli del microonde. Dal 15 marzo sono in overtraining, ma proprio per questo hanno rivalutato il ciclismo indoor, di cui ormai sono grandi fan. Perché Il Vero Ciclismo è Sofferenza, in fondo, no? 
  3. I Pro: categoria a parte, tra i pochi ad avere valori w/kg realistici. Se la ridono di tutti gli altri, si divertono e sono felici, perché tanto con tutti i km che hanno fatto in carriera hanno endorfine almeno per 3 o 4 anni.
  4. Quelli che barano: categoria diffusissima, e caratterizzata da ampia variabilità. Il rappresentante medio comunque è sulla cinquantina, alto un metro e settantacinque per 80 kg, con faccia porcina e capello unticcio. Il suo avatar invece è un incrocio tra il Brad Pitt dei tempi migliori e Tom Doumulin, ma con una decina di kg in meno. Il giretto di scarico lo fanno a 7 w/kg, disdegnano il cardiofrequenzimetro e per rullo smart intendono un rullo integrato con un decespugliatore. Battono regolarmente i pro, talvolta pedalando con una gamba sola, mentre mangiano le lasagne di zia Carmela. Se in chat gli nomini Zwiftpower spariscono, come per magia.
  5. I fissati: passano intere giornate a bilanciare le tabelle del nutrizionista sulla base della nuova routine del lockdown, a chattare col preparatore per adattare le schede di allenamento e a compulsare Training Peaks. Da settimane usano Zwift solo per allenarsi, perché hanno fatto una gara a inizio quarantena e le hanno prese da tutti, anche da quelli che non mollano (che ancora non erano in overtraining). La botta psicologica è stata forte, ma dopo qualche giorno di ascetismo mistico a 400 kcal/die hanno accettato questo mondo ingiusto, popolato da esseri indegni come quelli della categoria 4, e hanno trovato un precario equilibrio tra depressione, sconforto e disturbi ossessivi.
Ecco, io sono decisamente molto vicino alla categoria 5. Dalla depressione mi salvano solo gli anni di psicoterapia pregressi e il fatto che ne ho già prese tante, ma tante, nelle gare vere, che ormai non mi stupisco più di niente. Così qualche garetta l'ho fatta: ecco com'è andata.

Team Italy Specialissima Race
Gara di livello toppissimo, 37 km e mezzo con decine di pro, mazzi di under 23 e camionate di gente che bara. Mi iscrivo nella categoria A, anche se potrei correre nella B, perché la dignità non fa per me. In griglia ci sono Ciccone, Caruso, Bettiol, Colbrelli, gente tranquilla, insomma. C'è anche Alan Marangoni, e il tutto va in diretta sul canale di GCN Italia. Forse la diretta più divertente di sempre, sul celebre canale dedicato al ciclismo. Parto e do veramente tutto, anche se non sono proprio al massimo della forma. Chiudo 215°, a poco più di 6 minuti da Scaroni, primo dei pro. Non male, dai, quasi quasi provo una gara più lunga nel weekend, mi dico.

Zzcqualcosa, insomma, una gara polacca
Scelgo attentamente su Companion una gara lunga, con tanta salita e pochi iscritti. Il nome è impronunciabile, ed è l'ultima prova di una corsa a tappe di un cycling club polacco. 111km, 1685m di dislivello, sul percorso del Mega Pretzel. Il giorno della gara gli iscritti sono schizzati a quasi 600, con una ventina di pro tra cui un certo Warren Barguil. Bene, dai. Scendo in griglia comunque molto carico, pronto a godermi 3 ore e mezza di sgroppata. Pronti via, mi piazzo intorno alla 200a posizione, e dal 40° km inizio una lenta rimonta. Jungle, Epic Kom, Volcano, Hilly Kom, Jungle di nuovo: le gambe vanno proprio bene e salendo la seconda volta verso l'Epic Kom mi trovo intorno alla 155a posizione. Scollino con un ottimo gruppetto e... E niente, il Bluetooth mi fa ciao ciao e perdo il segnale dei rulli, che non si riconnettono finché non riavvio l'app. Gara finita. Dopo 99 km su 111. Mi consolo pensando che 2 ore e 56 minuti a 245 W medi ponderati non sono affatto male per uno che ha impostato il peso reale di 68 kg... Quelli del mio gruppetto arrivano a poco meno di mezz'ora dal primo, che è proprio Barguil. 

Crit Race del tutto casuale
20 minuti dopo il ritiro alla gara polacca, in uno stato di trance agonistica inarrestabile, sono al via della prima gara che trovo, un circuito tipo a Londra, o forse a Richmond. Parto a tutta, sto a metà classifica con le gambe che urlano disperate e al decimo km perdo di nuovo il segnale dei rulli. Mi sa che c'è da aggiungere una sesta categoria a quelle sopra: quelli che proprio non ce la fanno.

Nota divertente: anche Silvia ha fatto una gara, per la prima volta. Categoria sole donne, over 68 kg: al via metà degli avatar aveva la barba e tre su quattro un BMI da ricovero per malnutrizione. Su 63 iscritti solo due risultano nelle classifiche ufficiali di Zwiftpower. Ovviamente Silvia vince. Dando 25 muniti alla seconda. C'è chi ce la fa, e chi no...

sabato 11 aprile 2020

Un mese di rulli

Eccoci qua, a un mese o poco più dall'inizio dell'incubo che ha sconvolto le vite di tutti e portato via le vite di tanti.
Non è facile parlare di una cosa tutto sommato futile come lo sport, in questi momenti, ma credo sia importante continuare a farlo, perché se stiamo combattendo, se stiamo resistendo, è per poter tornare al più presto alla nostra vita di sempre, alla nostra routine e alle nostre passioni. Dimenticarsi di ciò che amiamo significa arrendersi al virus.
Ma bando alle ciance, in questo post veloce voglio essere un po' meno riflessivo e melenso dell'ultima volta, quindi vi racconto semplicemente cosa ho fatto in questi 34 giorni di rulli, premesso che oltre alla bici ho puntato l'attenzione anche su Yoga e palestra.
Con oggi, dal 9 marzo, sono a 1653,7 km indoor, tra rulli standard (le prime due settimane) e smart, per un totale di circa 63 ore in sella. Da quando ho avuto la possibilità di utilizzare Zwift ho sempre pedalato tra Watopia e gli altri mondi disponibili grazie all'app: ero molto curioso di scoprire il suo funzionamento e trovo che la commistione di training e videogame sia, per dirla chiaramente, una gran figata. Adesso sono a livello 15, ho conquistato quasi metà dei badge disponibili e mi sono già "comprato" (nel drop shop, una sorta di negozio virtuale che permette di pagare con le "gocce di sudore" accumulate) una bella bici da salita, delle ruote superleggere e delle tamarrissime ruotazze da pianura. Ci sono anche le gare, su Zwift, e non ho resistito alla tentazione: ho corso una crono da 17 km, sfruttando l'evento per fare un test FTP e piazzandomi sedicesimo su una sessantina di parenti, a 4,1 W/kg. Non male. 
Quanto alle tabelle di allenamento, le ho profondamente riviste in modo da diminuire le ore per seduta; nel mio caso, outdoor, sarebbero state davvero tante. Di conseguenza ho pedalato poco, ma tutti i giorni, a volte anche in più sedute brevi: su strada, in questo periodo, avrei dovuto fare uscite da 10-12 ore, coi rulli non sono mai andato oltre le 5 ore. È strano allenarsi in questo modo, ma è sempre meglio andarci piano, indoor. Certo, la cosa più strana è accontentarsi di un badge virtuale per aver pedalato 100 miglia davanti a un ventilatore, quando sei abituato a partire all'alba con l'obiettivo di vedere il tramonto... Ma è questo quello che posso fare ora, e di certo non mi lamento. Una cosa è sicura, però: la prima uscita, dopo la lunga quarantena, sarà meravigliosa. 

venerdì 3 aprile 2020

Arrivederci RUR

Già in tenera età manifestavo alla grande la tendenza ossessiva che mi contraddistingue ancora oggi: non giocavo a calcio ma cercavo, in solitudine, di stabilire il record di palleggi contro il muro. Non giravo in bici per il paese ma preferivo contare il numero di giri percorsi su un circuito tutto mio, tra un albero e un tombino, girando intorno al garage o costeggiando una staccionata. Stilavo statistiche sulle specie di uccelli avvistati in giardino,  ed annotavo su un vecchio quaderno il numero di avannotti che pescavo con un colino, nei placidi pomeriggi estivi in riva al fiume.
La sera passavo ore ed ore a sfogliare l'Atlante Geografico DeAgostini, immaginando luoghi mai visti, ipotizzando stati improbabili, strade impossibili. Ricordo ancora le mie fisse geografiche ricorrenti: l'Isola di Guam e la creazione di uno stato autonomo per i boscimani del Kalahari, in Botswana.
Questo mio modo di essere, ossessivo, curioso e strampalato, si è evoluto ed è mutato molto, nel tempo: a volte, come all'università, è stato un'arma poderosa; a volte, più spesso, un'arma a doppio taglio, capace di farmi sentire strano e diverso, capace di farmi perdere in un mare di pensieri ricorrenti e negativi, deprimenti ed autolesionisti.
Poi è arrivata la bici, o forse è solo tornata dato che, anche da ragazzo, non mi ha mai  del tutto abbandonato. Mettersi a pedalare seriamente, sei anni fa, è stato come tornare bambino: quasi di colpo ho ritrovato la felicità innocente di quei giochi  che erano bislacchi, certo, ma che riempivano il mio mondo.
Invece dell'Atlante mi sono ritrovato a passare le ore su Strava e Google Maps, a pianificare giri ed uscite, ad immaginare strade e montagne mai viste, ad analizzare grafici e pianificare allenamenti.
C'è un posto su cui sono finito a fantasticare  molto spesso: una fascia di Appennino tra Romagna e Toscana di cui so pochissimo, che dalle mappe sembra selvaggia e che dai nomi dei paeselli sembra promettere dei gran bei posti. Più di tutto è il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi a stuzzicare la mia curiosità: il nome evoca boschi fitti, alberi secolari e natura incontaminata. Mi guardo bene dall'andare a scoprirne qualcosa di più: un sogno infantile vale molto più delle foto che potrei trovare su Google.
Ecco, sono un po' di anni che fantastico su questi posti, quindi figuratevi quanto ero contento di poter debuttare nel mondo dell'ultracycling proprio su quelle strade, alla Romagna Ultra Race 310. Non avrei potuto chiedere di meglio: fin da novembre ho organizzato tutto il mio piano di allenamento intorno alla RUR, e mai come quest'anno il training plan stava dando i suoi frutti.
Poi è arrivata la pandemia e, in mezzo a drammi ben più terribili, anche i piccoli sogni di noi sportivi si sono infranti. Niente RUR, per quest'anno: la decisione degli organizzatori, più che condivisibile, è arrivata lunedì. Ho letto la mail subito dopo aver finito una ride di riscaldamento su Zwift, appena prima di iniziare la seduta dedicata alla forza.
Mentirei se dicessi che la notizia mi ha intristito. In un momento come quello che stiamo attraversando non credo di avere il diritto di intristirmi per così poco, e poi, appena letta la mail, ho deciso che la farò nel 2021, la RUR, e magari nelle versione lunga, da 550 km. Ho fatto il mio allenamento col sorriso, mi sono goduto una bella ciotola di crema al mascarpone come recovery e ho subito rivisto il planning per puntare ad essere al top alla Dolomitica 380 di luglio, sempre che non venga cancellata anche quella.
È un gran bel vantaggio saper accettare la parte più infantile di sé, saper continuare a giocare anche da grandi: le delusioni passano così in fretta che quasi non te ne accorgi. L'importante è avere qualcosa a cui pensare: le nuove tabelle di allenamento, il lungo, lunghissimo giro che farò appena si potrà uscire di casa, le cronoscalate ancora in programma per giugno e la ride a stomaco vuoto di domani mattina. L'importante è avere un gioco, anzi di più, l'importante è continuare a giocare a quel gioco bellissimo che è la vita. 

venerdì 20 marzo 2020

Resilienza e quarantena

Eccoci qua: in poche settimane il nostro paese e il mondo intero si sono trovati catapultati in un incubo pandemico che nessuno si aspettava. Pensando a chi sta perdendo i propri cari, a chi sta lottando tra la vita e la morte, a chi lavora senza sosta negli ospedali, i problemi che possiamo avere noi altri, che al massimo ce ne stiamo sul divano a guardare serie TV, sono davvero poca cosa.
Poco importa se la stagione agonistica sarà del tutto stravolta, poco importa se non posso uscire a godermi il sole caldo della primavera, chi se ne frega se mi tocca pedalare sui rulli invece che tra i boschi e i prati fioriti.

Eppure... eppure i momenti come questo ci fanno capire quanto sono importanti le piccole cose, quanto la routine di ognuno di noi sia preziosa. Avrei tanto voluto correre le prime gare del GT Mediofondo, avrei davvero voluto fare i primi allenamenti sopra le 10 ore, in vista della Romagna Ultra Race. E forse non è così sbagliato soffermarsi a pensare per un attimo a ciò che l'epidemia ci sta portando via: il desiderio di normalità, infatti, può spingerci a fare tutto il possibile per ritornare alle nostre gare, alle nostre vacanze e ai nostri aperitivi.

Intanto siamo qua, tappati in casa come è giusto che sia. Io me lo vivo, questo momento, un po' come i momenti difficili che capitano in gara. Un po' come quando buchi o quando vai in crisi, quando piove o quando arrivi a quella salita che proprio non ne hai più. Sono i momenti in cui non basta resistere, ma serve sviluppare una strategia mentale alternativa. Serve resilienza: una caratteristica che non ha nulla a che fare con i watt, ma che tante volte fa la differenza.
Questa sfida, però, è ben più difficile: non dobbiamo superare una salita ostica o un avversario agguerrito, non ci basterà resistere per qualche ora al freddo o al mal di gambe. Si tratta di reggere per settimane, e il nostro obiettivo non è semplicemente tagliare un traguardo fisico: il nostro obiettivo, in questa lunga quarantena, è di riuscire ad approcciarci allo sport che amiamo in modo diverso dal solito, senza perdere la motivazione e senza lasciarci abbattere dal non poter vedere il frutto di tutti gli sforzi fatti fin qui. Dovremo dedicarci allo sport che amiamo senza pedalare all'aperto, continuare ad allenarci non sapendo bene quando si tornerà a gareggiare. E tutto questo mentre ogni ambito della nostra vita è sconvolto dalle restrizioni volte ad evitare il contagio. Mentre migliaia di persone sono in un letto d'ospedale.

Essere resilienti, in questo periodo, significa saper orientare i propri pensieri in modo da vivere positivamente e serenamente la bici (e la vita), nonostante la situazione drammatica che c'è là fuori. Il primo passo, secondo me, è iniziare a pensare alla mente come a qualcosa di allenabile e condizionabile. Perché posso allenare un bicipite e non il modo in cui ragiono? Non ci saranno dei pensieri che possono funzionare per il mio umore un po' come i manubri per la braccia? Io credo di sì. La serenità è una cosa che si conquista, esattamente come i buoni piazzamenti in corsa. Serve allenarsi, e un'occasione come questa è perfetta.
Ecco, in breve, cinque strategie mentali che personalmente trovo molto utili in questo periodo.

Punto primo: lagnarsi sta a zero. Non serve lamentarsi di situazioni che non posso cambiare. Sono in quarantena e non ci posso fare nulla: i se e i ma sono solo perdite di tempo, e accettare le condizioni al contorno mi fa risparmiare un sacco di fatica e pensieri negativi. È come quando piove: non serve pensare a quanto sarebbe bello se ci fosse il sole, serve prendere l'ombrello.

Punto secondo: obiettivi, obiettivi, obiettivi! Piccoli o grandi, a breve o a lungo termine, abituarmi a pensare spesso e in modo positivo ai miei target mi è di enorme aiuto. Un'ora di rulli, un libro da leggere, una lingua da imparare, lavorare almeno due volte a settimana sul gesto della pedalata, un TSS settimanale di 500, la gara di metà giugno (sarà finita per allora, no?), le ferie a fine agosto, il campionato che voglio fare nel 2021, un viaggio in bici per celebrare la fine della quarantena. Ogni obiettivo, ciclistico o meno, è benvenuto.

Punto tre: focalizzazione. Gli obiettivi sono solo parole. Per motivarmi, e soprattutto per sopravvivere serenamente a questo brutto periodo, cerco di passare dalle parole alle sensazioni. Chiudo gli occhi, e mi immagino lì, sul traguardo di quella gara, in cima a quella montagna, sul podio o semplicemente in vacanza, su una spiaggia assolata. Cerco di immedesimarmi il più possibile in quella situazione, cerco tutte le emozioni di quel momento. È quasi meditazione, e  mi carica tantissimo.

Punto quattro: novità. Trovo che essere aperti alle novità sia indispensabile, e anche questa è una qualità che va allenata. Per esempio, sono sempre stato molto, ma molto poco affine all'allenamento indoor. Anche a gennaio preferisco uscire e allenarmi all'aperto, forse perché non soffro particolarmente il freddo. In questi giorni invece mi son messo d'impegno. Mi sono detto: "Proviamoli, 'sti rulli, chissà mai che poi mi diverto pure". Mi sono dato una serie di obiettivi, mi sono sciroppato 16 ore di allenamento in 7 giorni, e alla fine mi sono divertito davvero. Con Silvia abbiamo ordinato dei rulli interattivi, e non vedo l'ora di mettermi su Zwift. Fidatevi, non avrei mai e poi mai pensato di trovarmi, un giorno, a scrivere una cosa del genere.

Punto cinque: fare il grande salto. Questo è il momento migliore per pianificare, e soprattutto prenotare, una grande impresa o un grande viaggio, perché c'è tutto il tempo per studiare, e il nuovo obiettivo è un bell'aiuto quando si tratta di mettersi sui rulli.
A questo proposito io la mia grande impresa l'ho scelta: ho fatto la preiscrizione alla Race Across Italy del 2021. La RAI è la gara che sogno almeno da 5 anni: 775  km no-stop, 10000m di dislivello in 48 ore di tempo limite. L'idea di trovarmi, tra poco più di 400 giorni, al via di questa manifestazione, mi fa sentire le farfalle nello stomaco. Perché guardare avanti è il modo migliore per superare i momenti bui. Perché bisogna ricordarsi, anche quando la notte è più scura, che il sole sorgerà di nuovo.

giovedì 5 marzo 2020

Il virus e il silenzio

Più passa il tempo, più apprezzo il silenzio.
Il silenzio di una pedalata solitaria, il silenzio di una salita che conoscono in pochi, il silenzio della natura e ancora di più il silenzio dei miei pensieri. Perché col passare degli anni, a furia di pedalare, di praticare lo Yoga e di meditare, i pensieri nella mia mente si sono fatti sempre meno affollati. Lo sport come piace a me, fatto di lunghe distanze e solitudine, mi ha insegnato ad estraniarmi, ad escludere istintivamente non solo i pensieri negativi, ma in generale i pensieri inutili. Mi ha insegnato ad ascoltare il mio corpo in ogni istante, da una parte per godermi tutte le sfumature che l'impegno fisico sa dare, dall'altra per analizzare a ciclo continuo i mille segnali che le gambe mi mandano.
Non pensare mi fa bene: mi posso godere i colori di questo assaggio di primavera, i profumi dei fiori, l'emozione di una discesa a picco sul lago.
Non fraintendete: non c'è nulla di poetico in tutto ciò, nulla che sia filtrato dalla classica retorica del ciclismo epico, del superare i propri limiti, del super-uomo a due ruote. La mia dimensione mentale, negli ultimi tempi, è un crogiolo che ribolle di sensazioni istintive, fisiche e non filtrate, nemmeno nella mia testa, dalla lente del linguaggio. Sensazioni in qualche modo ancestrali: il cuore che batte, le gambe che pompano, quel sentirsi lì, in mezzo al mondo.
Ogni tanto, nelle giornate di scarico, prendo la gravel e vado nei boschi. Mi fermo, tolgo le scarpe, mi siedo vicino a un albero, e lascio che tutte le impressioni di quel momento mi travolgano. Escludo tutti i filtri che il nostro mondo razionale ci impone. Sto lì per qualche minuto e i colori dell'erba secca, il profumo della terra che si risveglia, lo stormire delle fronde sopra di me mi regalano sensazioni così belle da essere commoventi. Sensazioni di cui ho sempre avuto un bisogno spasmodico, ma che non avevo mai avuto la fortuna, o il coraggio, di trovare.

C'è il Coronavirus, là fuori e le gare sono rimandate almeno fino ad aprile. C'è il Coronavirus, là fuori, e tutti ne parlano, tutti dicono la loro. Sapete una cosa? Io non sono un virologo e nemmeno un politico. Posso concedermi il lusso di non dire nulla, anzi di più, posso evitare di pensarci: formarsi un'opinione senza avere alcuna base è quanto meno un inutile spreco di energie.
Le gare non ci sono e mi basta sapere questo. Ho trasformato le settimane di tapering in settimane di scarico e test, per il resto gli allenamenti break-trough e recovery continuano ad alternarsi come sempre, come le salite e le discese, il giorno e la notte, l'estate e l'inverno.
Piuttosto che pensare a ciò che non posso cambiare mi prendo un po' di tempo per me, per cercare quelle cose che mi fanno stare bene, quelle sensazioni che mi fanno sentire vivo, quei posti così belli da non sembrare veri. Mi prendo del tempo per non pensare: chiudo la mente a questo oceano di stimoli ed informazioni che rende il mondo intero nevrastenico e infelice, e mi apro alla percezione pura, istintiva, naif e meditativa di una lunga pedalata tra i monti.

lunedì 3 febbraio 2020

Pesi e tabelle

Tra le molte novità di questa stagione ce ne sono un paio epocali per il mio modo di vivere l'allenamento.
Primo: ho deciso di fare una preparazione invernale seria in palestra, con tutti quei lavori tanto utili per la forza muscolare e la propriocezione. Siccome di palestra non capisco una mazza (al massimo andavo a fare GAG e Yoga, facendomi regolarmente umiliare da tutte le donne presenti in sala...) ho deciso di affidarmi a un professionista. La scelta non poteva che cadere su Cesare e su TotalSportLab, che già da anni mi segue per quel che riguarda la messa in sella e i test.
Così da dicembre ho iniziato con la sala pesi tre volte a settimana, lasciando la bici quasi nel dimenticatoio, se escludiamo la Rapha Festive 500. L'idea di mettermi a sollevare bilancieri non mi attirava molto, ma con un po' di impegno sono riuscito a vincere la mia innata antipatia nei confronti dello sport indoor e alla fine, tra uno squat e l'altro, mi sono addirittura divertito. Gran parte del merito va alle schede del buon Cesare, che comprendevano un sacco di esercizi divertenti: in bilico sulla fitball, in bilico sulla bosu, in bilico su una gamba sola, insomma, per tre quarti d'ora buoni a settimana mi sono trovato a fare il funambolo, con la gente che mi guardava strano. 

Seconda novità: mi sono messo a studiare e ho pianificato la stagione seguendo la mitica Cyclist's Training Bible. L'autore, Joe Friel, è una mia vecchia conoscenza dato che, insieme a Cordain, ha scritto The Paleo Diet For Athletes, su cui mi baso da due anni e mezzo, con grandi benefici, per l'alimentazione. Cosa cambia rispetto a prima? Tutto o quasi. Se i singoli allenamenti non sono esageratamente diversi, la grande differenza sta nell'approccio alla periodizzazione, che qui è il vero nocciolo della questione. Se fino al 2019 ho preparato una stagione da classico granfondista, puntando a mantenere una forma discreta per tutto l'arco del periodo agonistico, con il metodo di Friel posso programmare seriamente i picchi di forma, per cercare di portare a casa il massimo nelle due gare su cui punto di più: RUR310 e UltrApuane Experience. E poi, rispetto ai miei riferimenti precedenti, Friel è più completo e più scientifico: tanto spazio è dedicato allo sviluppo di una mentalità da atleta vincente, oltre che a quello dei watt, e tantissimo è riservato alla ricerca del miglior rapporto tra volume e intensità dell'allenamento, grazie all'introduzione del TSS.

Sarà tutta un'altra stagione, insomma, la prima davvero al top delle mie possibilità. E poi mi annoio a fare sempre le stesse cose: in bici, come nella vita, senza un po' di novità non c'è gusto! 

lunedì 6 gennaio 2020

Senza compromessi

Come al solito l'inizio dell'anno è il momento dei propositi, dei bilanci e delle buone intenzioni. Io per il mio 2020 ho una sola certezza: sarà un anno senza compromessi.
Da agosto, finalmente, ho un lavoro con orari umani, il tempo per allenarmi e un ciclo del sonno decente, cose che mi sembravano chimere fino a qualche mese fa. Quindi bando alle ciance, quest'anno farò sul serio e mi dedicherò alle gare che da sempre stimolano di più la mia indole di gatto randagio: sarà un 2020 dedicato alle ultradistanze.
Negli ultimi sei mesi mi sono messo alla prova, con  tanti allenamenti specifici e soprattutto con le sfide di Assault To Freedom: non tanto per capire se posso essere vincente in questo tipo di competizioni, ma per scoprire se passare così tante ore in bici poteva piacermi sul serio.
Il responso è stato positivo: fino a 36 ore va tutto bene, e mi diverto un casino. Oltre ancora non sono andato, perché i tempi di recupero, quando si affrontano questo tipo di sforzi, sono necessariamente lunghi. Servono gradualità e piedi di piombo, altrimenti ci si scotta.
Con queste premesse, l'obiettivo principale del 2020 non possono che essere le ultrafondo, e nello specifico l'Ultrafondo Italia Cup, con le sue tre prove: si comincia a Forlì con la Romagna Ultra Race, da 310 km e 7000 m di dislivello, si continua a Sarmede con la D+ Ultracycling Dolomitica, nella versione "media" da 380 km e 10000 m di dislivello, si chiude a Lucca con la UltrApuane Experience, che è anche la gara più "distesa" del trio: 350 km e 7000 m di ascesa.
Sempre in tema ultra, se (e sottolineo se) le cose dovessero mettersi bene, ad agosto farò la 24h del Montello, che quest'anno sarà davvero un grande evento: non solo prova unica del Campionato Italiano Ultracycling ACSI e seconda prova dell'Italian Time Trial Cup, ma anche prova unica del Campionato Europeo Crono 24h. Un'occasione immancabile, insomma, per farmi bastonare dai più forti ultraciclisti del continente.
E robe normali, Mario, quest'anno non ne fai? La risposta è sì: non rinuncio sicuramente al GT Mediofondo, che l'anno scorso è stato divertentissimo e permette di scaricare a dovere tra un lungo e l'altro. Visto il calendario dovrei riuscire a fare 6 o 7 gare su 8, e spero davvero di riuscire a portare a casa almeno una vittoria di categoria, dato che nel 2019 ho chiuso tre volte al terzo posto e una al secondo, senza contare il secondo posto alla Riso&Vino, poi annullata per problemi di cronometraggio...

Altra novità, quest'anno si cambia squadra. Nei due anni alla Rodman Azimut Squadra Corse mi sono trovato benissimo, soprattutto  grazie alla calorosa accoglienza del Presidente Marco Pipino e della sua compagna Elisabetta De Bernardi. Ma la base operativa del team è a Torino, e in più Rodman è da sempre una squadra dedicata principalmente alle granfondo, gare che già da un po' di tempo non mi regalano più stimoli. Così per il 2020 ho scelto FTM, una squadra della mia città, un team che nasce principalmente per il triathlon, ma che tra le sue fila ha anche parecchi ciclisti. Un gruppo di persone che in buona parte conosco: con qualcuno ho già pedalato, a molti ho fatto il caffè nella mia vita precedente, quella in cui ero titolare di un bar-ristorante e dormivo 5 ore a notte.
Non sarò solo, in questo cambio di casacca: con me ci sarà anche Silvia, compagna di vita e di sport. Se io ho sempre avuto il pallino dell'ultracycling, il sogno della mia dolce metà è sempre stato il triathlon, e anche per lei è arrivato il momento di realizzarlo: voci di corridoio dicono che l'evento clou del suo 2020 sarà l'Aronamen.
Una stagione di sfide mica male, insomma, per la nostra coppia. E anche qui la scelta della squadra può essere stata provvidenziale: FTM sta per Forza, Tenacia, Motivazione.