domenica 26 aprile 2020

Tipi da Zwift

Eccomi qui, dopo quasi 6 settimane di pedalate sui rulli, a scrivere di gare virtuali. Avrei dovuto essere nel pieno del GT Mediofondo e a un mese dal debutto ultraciclistico della Romagna Ultra Race. Invece ho approfittato della settimana "di scarico" del mio programma di allenamento stravolto per fare delle gare su Zwift... 
Ora, per chi non lo sapesse, il mondo di Zwift è composto, più o meno, da cinque categorie di ciclisti:
  1. Gli Zwifters duri e puri: hanno rulli che costano più delle loro biciclette, un sistema di ventilatori ottimizzato, connessioni internet paragonabili a quelle del Pentagono e una collezione di chiavette Ant+. Usano Zwift da quando in tutta Watopia c'erano 9,8km di strade percorribili e guardano con malcelato disprezzo gli appartenenti alle altre 4 categorie.
  2. Quelli che non mollano: prima della quarantena per loro i rulli erano creature mitologiche provenienti da dimensioni  parallele, o al massimo strumenti demoniaci che corrompevano Il Vero Ciclismo. Ai tempi del Covid sono venuti a patti con la coscienza, si sono accaparrati dei trainer smart a prezzi stratosferici e adesso zwiftano tutti i giorni, più volte al giorno, perché NON POSSONO MOLLARE, loro. Fanno almeno 5 gare a settimana, iscrivendosi casualmente alle categorie, dato che gli unici Watt di cui hanno sentito parlare sono quelli del microonde. Dal 15 marzo sono in overtraining, ma proprio per questo hanno rivalutato il ciclismo indoor, di cui ormai sono grandi fan. Perché Il Vero Ciclismo è Sofferenza, in fondo, no? 
  3. I Pro: categoria a parte, tra i pochi ad avere valori w/kg realistici. Se la ridono di tutti gli altri, si divertono e sono felici, perché tanto con tutti i km che hanno fatto in carriera hanno endorfine almeno per 3 o 4 anni.
  4. Quelli che barano: categoria diffusissima, e caratterizzata da ampia variabilità. Il rappresentante medio comunque è sulla cinquantina, alto un metro e settantacinque per 80 kg, con faccia porcina e capello unticcio. Il suo avatar invece è un incrocio tra il Brad Pitt dei tempi migliori e Tom Doumulin, ma con una decina di kg in meno. Il giretto di scarico lo fanno a 7 w/kg, disdegnano il cardiofrequenzimetro e per rullo smart intendono un rullo integrato con un decespugliatore. Battono regolarmente i pro, talvolta pedalando con una gamba sola, mentre mangiano le lasagne di zia Carmela. Se in chat gli nomini Zwiftpower spariscono, come per magia.
  5. I fissati: passano intere giornate a bilanciare le tabelle del nutrizionista sulla base della nuova routine del lockdown, a chattare col preparatore per adattare le schede di allenamento e a compulsare Training Peaks. Da settimane usano Zwift solo per allenarsi, perché hanno fatto una gara a inizio quarantena e le hanno prese da tutti, anche da quelli che non mollano (che ancora non erano in overtraining). La botta psicologica è stata forte, ma dopo qualche giorno di ascetismo mistico a 400 kcal/die hanno accettato questo mondo ingiusto, popolato da esseri indegni come quelli della categoria 4, e hanno trovato un precario equilibrio tra depressione, sconforto e disturbi ossessivi.
Ecco, io sono decisamente molto vicino alla categoria 5. Dalla depressione mi salvano solo gli anni di psicoterapia pregressi e il fatto che ne ho già prese tante, ma tante, nelle gare vere, che ormai non mi stupisco più di niente. Così qualche garetta l'ho fatta: ecco com'è andata.

Team Italy Specialissima Race
Gara di livello toppissimo, 37 km e mezzo con decine di pro, mazzi di under 23 e camionate di gente che bara. Mi iscrivo nella categoria A, anche se potrei correre nella B, perché la dignità non fa per me. In griglia ci sono Ciccone, Caruso, Bettiol, Colbrelli, gente tranquilla, insomma. C'è anche Alan Marangoni, e il tutto va in diretta sul canale di GCN Italia. Forse la diretta più divertente di sempre, sul celebre canale dedicato al ciclismo. Parto e do veramente tutto, anche se non sono proprio al massimo della forma. Chiudo 215°, a poco più di 6 minuti da Scaroni, primo dei pro. Non male, dai, quasi quasi provo una gara più lunga nel weekend, mi dico.

Zzcqualcosa, insomma, una gara polacca
Scelgo attentamente su Companion una gara lunga, con tanta salita e pochi iscritti. Il nome è impronunciabile, ed è l'ultima prova di una corsa a tappe di un cycling club polacco. 111km, 1685m di dislivello, sul percorso del Mega Pretzel. Il giorno della gara gli iscritti sono schizzati a quasi 600, con una ventina di pro tra cui un certo Warren Barguil. Bene, dai. Scendo in griglia comunque molto carico, pronto a godermi 3 ore e mezza di sgroppata. Pronti via, mi piazzo intorno alla 200a posizione, e dal 40° km inizio una lenta rimonta. Jungle, Epic Kom, Volcano, Hilly Kom, Jungle di nuovo: le gambe vanno proprio bene e salendo la seconda volta verso l'Epic Kom mi trovo intorno alla 155a posizione. Scollino con un ottimo gruppetto e... E niente, il Bluetooth mi fa ciao ciao e perdo il segnale dei rulli, che non si riconnettono finché non riavvio l'app. Gara finita. Dopo 99 km su 111. Mi consolo pensando che 2 ore e 56 minuti a 245 W medi ponderati non sono affatto male per uno che ha impostato il peso reale di 68 kg... Quelli del mio gruppetto arrivano a poco meno di mezz'ora dal primo, che è proprio Barguil. 

Crit Race del tutto casuale
20 minuti dopo il ritiro alla gara polacca, in uno stato di trance agonistica inarrestabile, sono al via della prima gara che trovo, un circuito tipo a Londra, o forse a Richmond. Parto a tutta, sto a metà classifica con le gambe che urlano disperate e al decimo km perdo di nuovo il segnale dei rulli. Mi sa che c'è da aggiungere una sesta categoria a quelle sopra: quelli che proprio non ce la fanno.

Nota divertente: anche Silvia ha fatto una gara, per la prima volta. Categoria sole donne, over 68 kg: al via metà degli avatar aveva la barba e tre su quattro un BMI da ricovero per malnutrizione. Su 63 iscritti solo due risultano nelle classifiche ufficiali di Zwiftpower. Ovviamente Silvia vince. Dando 25 muniti alla seconda. C'è chi ce la fa, e chi no...

sabato 11 aprile 2020

Un mese di rulli

Eccoci qua, a un mese o poco più dall'inizio dell'incubo che ha sconvolto le vite di tutti e portato via le vite di tanti.
Non è facile parlare di una cosa tutto sommato futile come lo sport, in questi momenti, ma credo sia importante continuare a farlo, perché se stiamo combattendo, se stiamo resistendo, è per poter tornare al più presto alla nostra vita di sempre, alla nostra routine e alle nostre passioni. Dimenticarsi di ciò che amiamo significa arrendersi al virus.
Ma bando alle ciance, in questo post veloce voglio essere un po' meno riflessivo e melenso dell'ultima volta, quindi vi racconto semplicemente cosa ho fatto in questi 34 giorni di rulli, premesso che oltre alla bici ho puntato l'attenzione anche su Yoga e palestra.
Con oggi, dal 9 marzo, sono a 1653,7 km indoor, tra rulli standard (le prime due settimane) e smart, per un totale di circa 63 ore in sella. Da quando ho avuto la possibilità di utilizzare Zwift ho sempre pedalato tra Watopia e gli altri mondi disponibili grazie all'app: ero molto curioso di scoprire il suo funzionamento e trovo che la commistione di training e videogame sia, per dirla chiaramente, una gran figata. Adesso sono a livello 15, ho conquistato quasi metà dei badge disponibili e mi sono già "comprato" (nel drop shop, una sorta di negozio virtuale che permette di pagare con le "gocce di sudore" accumulate) una bella bici da salita, delle ruote superleggere e delle tamarrissime ruotazze da pianura. Ci sono anche le gare, su Zwift, e non ho resistito alla tentazione: ho corso una crono da 17 km, sfruttando l'evento per fare un test FTP e piazzandomi sedicesimo su una sessantina di parenti, a 4,1 W/kg. Non male. 
Quanto alle tabelle di allenamento, le ho profondamente riviste in modo da diminuire le ore per seduta; nel mio caso, outdoor, sarebbero state davvero tante. Di conseguenza ho pedalato poco, ma tutti i giorni, a volte anche in più sedute brevi: su strada, in questo periodo, avrei dovuto fare uscite da 10-12 ore, coi rulli non sono mai andato oltre le 5 ore. È strano allenarsi in questo modo, ma è sempre meglio andarci piano, indoor. Certo, la cosa più strana è accontentarsi di un badge virtuale per aver pedalato 100 miglia davanti a un ventilatore, quando sei abituato a partire all'alba con l'obiettivo di vedere il tramonto... Ma è questo quello che posso fare ora, e di certo non mi lamento. Una cosa è sicura, però: la prima uscita, dopo la lunga quarantena, sarà meravigliosa. 

venerdì 3 aprile 2020

Arrivederci RUR

Già in tenera età manifestavo alla grande la tendenza ossessiva che mi contraddistingue ancora oggi: non giocavo a calcio ma cercavo, in solitudine, di stabilire il record di palleggi contro il muro. Non giravo in bici per il paese ma preferivo contare il numero di giri percorsi su un circuito tutto mio, tra un albero e un tombino, girando intorno al garage o costeggiando una staccionata. Stilavo statistiche sulle specie di uccelli avvistati in giardino,  ed annotavo su un vecchio quaderno il numero di avannotti che pescavo con un colino, nei placidi pomeriggi estivi in riva al fiume.
La sera passavo ore ed ore a sfogliare l'Atlante Geografico DeAgostini, immaginando luoghi mai visti, ipotizzando stati improbabili, strade impossibili. Ricordo ancora le mie fisse geografiche ricorrenti: l'Isola di Guam e la creazione di uno stato autonomo per i boscimani del Kalahari, in Botswana.
Questo mio modo di essere, ossessivo, curioso e strampalato, si è evoluto ed è mutato molto, nel tempo: a volte, come all'università, è stato un'arma poderosa; a volte, più spesso, un'arma a doppio taglio, capace di farmi sentire strano e diverso, capace di farmi perdere in un mare di pensieri ricorrenti e negativi, deprimenti ed autolesionisti.
Poi è arrivata la bici, o forse è solo tornata dato che, anche da ragazzo, non mi ha mai  del tutto abbandonato. Mettersi a pedalare seriamente, sei anni fa, è stato come tornare bambino: quasi di colpo ho ritrovato la felicità innocente di quei giochi  che erano bislacchi, certo, ma che riempivano il mio mondo.
Invece dell'Atlante mi sono ritrovato a passare le ore su Strava e Google Maps, a pianificare giri ed uscite, ad immaginare strade e montagne mai viste, ad analizzare grafici e pianificare allenamenti.
C'è un posto su cui sono finito a fantasticare  molto spesso: una fascia di Appennino tra Romagna e Toscana di cui so pochissimo, che dalle mappe sembra selvaggia e che dai nomi dei paeselli sembra promettere dei gran bei posti. Più di tutto è il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi a stuzzicare la mia curiosità: il nome evoca boschi fitti, alberi secolari e natura incontaminata. Mi guardo bene dall'andare a scoprirne qualcosa di più: un sogno infantile vale molto più delle foto che potrei trovare su Google.
Ecco, sono un po' di anni che fantastico su questi posti, quindi figuratevi quanto ero contento di poter debuttare nel mondo dell'ultracycling proprio su quelle strade, alla Romagna Ultra Race 310. Non avrei potuto chiedere di meglio: fin da novembre ho organizzato tutto il mio piano di allenamento intorno alla RUR, e mai come quest'anno il training plan stava dando i suoi frutti.
Poi è arrivata la pandemia e, in mezzo a drammi ben più terribili, anche i piccoli sogni di noi sportivi si sono infranti. Niente RUR, per quest'anno: la decisione degli organizzatori, più che condivisibile, è arrivata lunedì. Ho letto la mail subito dopo aver finito una ride di riscaldamento su Zwift, appena prima di iniziare la seduta dedicata alla forza.
Mentirei se dicessi che la notizia mi ha intristito. In un momento come quello che stiamo attraversando non credo di avere il diritto di intristirmi per così poco, e poi, appena letta la mail, ho deciso che la farò nel 2021, la RUR, e magari nelle versione lunga, da 550 km. Ho fatto il mio allenamento col sorriso, mi sono goduto una bella ciotola di crema al mascarpone come recovery e ho subito rivisto il planning per puntare ad essere al top alla Dolomitica 380 di luglio, sempre che non venga cancellata anche quella.
È un gran bel vantaggio saper accettare la parte più infantile di sé, saper continuare a giocare anche da grandi: le delusioni passano così in fretta che quasi non te ne accorgi. L'importante è avere qualcosa a cui pensare: le nuove tabelle di allenamento, il lungo, lunghissimo giro che farò appena si potrà uscire di casa, le cronoscalate ancora in programma per giugno e la ride a stomaco vuoto di domani mattina. L'importante è avere un gioco, anzi di più, l'importante è continuare a giocare a quel gioco bellissimo che è la vita.