giovedì 5 marzo 2020

Il virus e il silenzio

Più passa il tempo, più apprezzo il silenzio.
Il silenzio di una pedalata solitaria, il silenzio di una salita che conoscono in pochi, il silenzio della natura e ancora di più il silenzio dei miei pensieri. Perché col passare degli anni, a furia di pedalare, di praticare lo Yoga e di meditare, i pensieri nella mia mente si sono fatti sempre meno affollati. Lo sport come piace a me, fatto di lunghe distanze e solitudine, mi ha insegnato ad estraniarmi, ad escludere istintivamente non solo i pensieri negativi, ma in generale i pensieri inutili. Mi ha insegnato ad ascoltare il mio corpo in ogni istante, da una parte per godermi tutte le sfumature che l'impegno fisico sa dare, dall'altra per analizzare a ciclo continuo i mille segnali che le gambe mi mandano.
Non pensare mi fa bene: mi posso godere i colori di questo assaggio di primavera, i profumi dei fiori, l'emozione di una discesa a picco sul lago.
Non fraintendete: non c'è nulla di poetico in tutto ciò, nulla che sia filtrato dalla classica retorica del ciclismo epico, del superare i propri limiti, del super-uomo a due ruote. La mia dimensione mentale, negli ultimi tempi, è un crogiolo che ribolle di sensazioni istintive, fisiche e non filtrate, nemmeno nella mia testa, dalla lente del linguaggio. Sensazioni in qualche modo ancestrali: il cuore che batte, le gambe che pompano, quel sentirsi lì, in mezzo al mondo.
Ogni tanto, nelle giornate di scarico, prendo la gravel e vado nei boschi. Mi fermo, tolgo le scarpe, mi siedo vicino a un albero, e lascio che tutte le impressioni di quel momento mi travolgano. Escludo tutti i filtri che il nostro mondo razionale ci impone. Sto lì per qualche minuto e i colori dell'erba secca, il profumo della terra che si risveglia, lo stormire delle fronde sopra di me mi regalano sensazioni così belle da essere commoventi. Sensazioni di cui ho sempre avuto un bisogno spasmodico, ma che non avevo mai avuto la fortuna, o il coraggio, di trovare.

C'è il Coronavirus, là fuori e le gare sono rimandate almeno fino ad aprile. C'è il Coronavirus, là fuori, e tutti ne parlano, tutti dicono la loro. Sapete una cosa? Io non sono un virologo e nemmeno un politico. Posso concedermi il lusso di non dire nulla, anzi di più, posso evitare di pensarci: formarsi un'opinione senza avere alcuna base è quanto meno un inutile spreco di energie.
Le gare non ci sono e mi basta sapere questo. Ho trasformato le settimane di tapering in settimane di scarico e test, per il resto gli allenamenti break-trough e recovery continuano ad alternarsi come sempre, come le salite e le discese, il giorno e la notte, l'estate e l'inverno.
Piuttosto che pensare a ciò che non posso cambiare mi prendo un po' di tempo per me, per cercare quelle cose che mi fanno stare bene, quelle sensazioni che mi fanno sentire vivo, quei posti così belli da non sembrare veri. Mi prendo del tempo per non pensare: chiudo la mente a questo oceano di stimoli ed informazioni che rende il mondo intero nevrastenico e infelice, e mi apro alla percezione pura, istintiva, naif e meditativa di una lunga pedalata tra i monti.

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