Già in tenera età manifestavo alla grande la tendenza ossessiva che mi contraddistingue ancora oggi: non giocavo a calcio ma cercavo, in solitudine, di stabilire il record di palleggi contro il muro. Non giravo in bici per il paese ma preferivo contare il numero di giri percorsi su un circuito tutto mio, tra un albero e un tombino, girando intorno al garage o costeggiando una staccionata. Stilavo statistiche sulle specie di uccelli avvistati in giardino, ed annotavo su un vecchio quaderno il numero di avannotti che pescavo con un colino, nei placidi pomeriggi estivi in riva al fiume.
La sera passavo ore ed ore a sfogliare l'Atlante Geografico DeAgostini, immaginando luoghi mai visti, ipotizzando stati improbabili, strade impossibili. Ricordo ancora le mie fisse geografiche ricorrenti: l'Isola di Guam e la creazione di uno stato autonomo per i boscimani del Kalahari, in Botswana.
Questo mio modo di essere, ossessivo, curioso e strampalato, si è evoluto ed è mutato molto, nel tempo: a volte, come all'università, è stato un'arma poderosa; a volte, più spesso, un'arma a doppio taglio, capace di farmi sentire strano e diverso, capace di farmi perdere in un mare di pensieri ricorrenti e negativi, deprimenti ed autolesionisti.
Poi è arrivata la bici, o forse è solo tornata dato che, anche da ragazzo, non mi ha mai del tutto abbandonato. Mettersi a pedalare seriamente, sei anni fa, è stato come tornare bambino: quasi di colpo ho ritrovato la felicità innocente di quei giochi che erano bislacchi, certo, ma che riempivano il mio mondo.
Invece dell'Atlante mi sono ritrovato a passare le ore su Strava e Google Maps, a pianificare giri ed uscite, ad immaginare strade e montagne mai viste, ad analizzare grafici e pianificare allenamenti.
C'è un posto su cui sono finito a fantasticare molto spesso: una fascia di Appennino tra Romagna e Toscana di cui so pochissimo, che dalle mappe sembra selvaggia e che dai nomi dei paeselli sembra promettere dei gran bei posti. Più di tutto è il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi a stuzzicare la mia curiosità: il nome evoca boschi fitti, alberi secolari e natura incontaminata. Mi guardo bene dall'andare a scoprirne qualcosa di più: un sogno infantile vale molto più delle foto che potrei trovare su Google.
Ecco, sono un po' di anni che fantastico su questi posti, quindi figuratevi quanto ero contento di poter debuttare nel mondo dell'ultracycling proprio su quelle strade, alla Romagna Ultra Race 310. Non avrei potuto chiedere di meglio: fin da novembre ho organizzato tutto il mio piano di allenamento intorno alla RUR, e mai come quest'anno il training plan stava dando i suoi frutti.
Poi è arrivata la pandemia e, in mezzo a drammi ben più terribili, anche i piccoli sogni di noi sportivi si sono infranti. Niente RUR, per quest'anno: la decisione degli organizzatori, più che condivisibile, è arrivata lunedì. Ho letto la mail subito dopo aver finito una ride di riscaldamento su Zwift, appena prima di iniziare la seduta dedicata alla forza.
Mentirei se dicessi che la notizia mi ha intristito. In un momento come quello che stiamo attraversando non credo di avere il diritto di intristirmi per così poco, e poi, appena letta la mail, ho deciso che la farò nel 2021, la RUR, e magari nelle versione lunga, da 550 km. Ho fatto il mio allenamento col sorriso, mi sono goduto una bella ciotola di crema al mascarpone come recovery e ho subito rivisto il planning per puntare ad essere al top alla Dolomitica 380 di luglio, sempre che non venga cancellata anche quella.
È un gran bel vantaggio saper accettare la parte più infantile di sé, saper continuare a giocare anche da grandi: le delusioni passano così in fretta che quasi non te ne accorgi. L'importante è avere qualcosa a cui pensare: le nuove tabelle di allenamento, il lungo, lunghissimo giro che farò appena si potrà uscire di casa, le cronoscalate ancora in programma per giugno e la ride a stomaco vuoto di domani mattina. L'importante è avere un gioco, anzi di più, l'importante è continuare a giocare a quel gioco bellissimo che è la vita.
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